Mai e giammai compresi il modo o la maniera di far defecare il gatto. Lo ricolmai di cibo, lo nutrii di uccelli e di ripieni, di polpette e latte in grande quantità, gli offrii le luculliane ghiottonerie dei re e le sfarzose squisitezze degli eccellenti chef ma egli, il gatto, non defecò.
Lo nascosi nel gabinetto di Marino Peto ed egli curiosò una straordinaria diarrea, opera che si edifica solamente nelle migliori occasioni - e solo dopo aver ingoiato incommensurabili quantità di pietanze – ma il gatto, nonostante gl’incitamenti, non volle evacuare.
Lo condussi dunque da Frate Merdaro, il quale lo meditò, l’indagò, l’analizzò e lo controllò. Lo legò, lo lubrificò e lo soppesò, gli lesse le sue misteriose quattro oscure e speciali avemarie clandestine ed in men che non si dica, il gatto vacillò, esitò, temporeggiò, ciondolò e scaricò chili e chili di letame purissimo ed escrementi incontaminati proprio tra le braccia del Frate, il quale, lieto e giubilante come un infante, non prima di averci salutati e benedetti con un inchino, si richiuse con le deiezioni nel suo personalissimo boudoir, uscendone solamente molte ore più tardi con quel gioioso e sereno viso che appartiene agli spiriti eletti e beati da imprecisabili e remotissime ere.
martedì 21 giugno 2011
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