Oreste Diarrea non poté non imbarazzarsi di fronte al confessionale che gli s’ergeva di fronte, non avrebbe mai detto i suoi peccati a nessuno, eppure il pretino gaio voleva sapere!
Domandò e ridomandò incredulo che Oreste non avesse commesso gran ché nella sua flemmatica esistenza da storpio e da grassone qual’era, non volle credere alla totale assenza di onanismo, né all’incondizionata deficienza di qual si voglia vituperio nei confronti della chiesa, né alla carenza di bestialità, barbarie o atrocità. Eppure Oreste Diarrea negò ogni cosa e si disse gran santone, intangibile e soprannaturale. Il buon prete commosso pianse lacrime cocenti quando seppe che l’unico peccato commesso dal bravo integerrimo e celestiale fu solamente quello di aver sputato nella terra consacrata e di aver, a sproposito, spropositato nei confronti della sua madre carissima.
Eppure al prete, abituato ad origliare i peccati, non andò giù e tentò in ogni modo, si adoperò, si avvalse d’innumerevoli trucchi preteschi ma non udì altro che lodi alla madonna e glorificazioni ai santi. Giunto allo sconforto il prete bestemmiò, e la bestemmia risvegliò in qualche modo Oreste che in men che non si dica sovvertì le sue maniere e divenne bestia. Urlò finché non gli si squarciarono le tonsille, lanciò pugni e calci finché mani e piedi non si disgiunsero, defecò e urinò fino a che non gli s’implose il corpo, picchiò il cranio finché esso non si aprì e il cervello non si frantumò ricoprendo il prete di materia grigia.
Nonostante Oreste fu celebrato al tempo per la sua crudeltà, dissolutezza, depravazione e per il vizio di uccidere cristiani e religiosi di ogni fede e professione, fu fatto santo. Oggi, quel che resta del suo corpo riposa consacrato nell’immensa cattedrale e le visite e le preghiere lo ergono, nell’immaginario collettivo, al pari dei perfetti, più giusti dei beati, ed egli, sogghignando, se ne andò felice per la sua strada.
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