lunedì 6 dicembre 2010

Sant'eunuco

Non ebbi dubbio alcuno, non appena il pastore varcò la mia soglia lo rimproverai per essere quello che era e per gli abbigliamenti che portava e per i sermoni che enunciava e per l’intollerabile odiosa dannazione che emanava il suo flaccido corpo da misero eunuco qual era. Egli, l’eunuco, chiosò le sue ragioni e vagheggiò sul suo supposto dio chimerico, ripetendo, come fin da bambino seppe fare, le mendaci illusioni che gli furono istruite dai padri anziani. La certezza in cui viveva mi nauseò e l’almanaccai:
Gli narrai infatti ciò che accadde ad Augusto Colite, che pregò tutta la notte santa Rita e la mattina agevolò la scelta d’intossicare il suo gatto prediletto pur di non vederlo mangiare il topo che l’indispettiva. Oppure la storia di Tivo Motosega che preferì bastonare, vergare, flagellare, inchiodare ed arrostire su di un braciere il suo figliuolo amatissimo pur di assicurargli una beata beatitudine post mortem spettante ai martiri, come al beato San Lorenzo perseguitato da Valeriano. O invece descrissi la favola dell’inficiata Dora, la quale fu promessa in sposa ad un esecrabile cane idrofobo e collerico, impudico e lussurioso, il quale non poté sopravvivere all’ invereconda castità della sua consorte, qualità dettata dalla minuziosa e particolareggiata conoscenza della beata vergine Francesca Mézière.
Egli, l’eunuco prete pastore, con il suo ghigno ingannevole, approvò la scelta dei protagonisti delle mie narrazioni, ed espresse il desiderio di poter alleviare una sua fame inattesa, ed io per ringraziarlo saziai il suo improvviso appetito con delle magiche polpette che preparai all’istante, le quali, oltre che a sfamarlo, esaudirono il suo più sacro desiderio e ricoprirono il suo corpo di pustole dolorose che emettevano incessantemente un liquido sieroso, biancastro fetido e nauseabondo. Egli morì dopo aver celebrato incalcolabili messe in condizioni di disperazione pestilenziale così fu nominato nuovo patrono di Gubbio con il nome di Ubaldo secondo, identico al primo ma eunuco, dunque, per gli abitanti, decisamente migliore.
Me ne andai felice per la mia strada solamente dopo aver sterminato fino all’ultimo ogni autoctono eugubino.

giovedì 2 dicembre 2010

La bestemmia

Conobbi le brezze marine del Caucaso e precepii un divulgare di anatemi sacrilegi, conobbi le alte giogaie ombrose nei pomeriggi di maggio sotto un sole rovente e udii bestemmie venir fuori dagli alberi e dalle tane del rospo, conobbi lande desolate e non ascoltai altro che vituperi e imprecazioni giungere dalle rocce e dal florido terreno. Un tempo distinsi una croce crocefiggere altre croci che a loro volta si crocifiggevano ed anche in quel momento, non udii altro che maledizioni, eresie e bestialità venir fuori dal legno e dai chiodi e sentii imprecare i tarli che mangiavano le croci e la mia anima fu invasa dall’immenso freddo, poiché il calore dagli anatemi era rapito. Vagai per le frondose foreste e vidi cagne violentate dagli alberi e dalle rocce, vidi il materializzarsi dell’imprecazione, nacque l’impensabile animale biforcuto, terribile a vedersi, indesiderabile ma perfetto. Lo riconobbi dal suo odore bestiale e dalla sua bestiale mancanza di fetore, dalla sua inestimabile deformità e dalla sua rarissima leggiadria. Esso mi guardò affatto stupefatto e, curvatosi, defecò in un pitale marrone.

mercoledì 1 dicembre 2010

Madre Teresa



L’incredibile orribile era sul punto di crepare, disconobbe il suo mistero e rinnegò la sua statura, rifiutò la sua andatura e contestò l’oltraggioso appellativo che le fu dato il giorno della sua comparsa tra i santi “Madre Teresa”. Essa non ebbe alcuna titubanza ma l’imprevista decadenza della sua indecenza le permise di disattendere il terrificante tragico compimento del suo ineccepibile e indiscutibile ostico destino. Essa difatti presentendo ciò che le stava sopraggiungendo si risolse occupandosi alla composizione ardita di maledizioni e vituperi e imprecazioni contro ogni autorità ecclesiastica. In punto di morte, rivolse agli astanti l’antica preghiera di non disimparare le ultime volontà e formulò gli anatemi anticristiani. Così ora io ve li tramando tremando e rabbrividendo, poiché il ricordo della loro nascita coincide con il trapasso di una vecchia passeggiatrice zoccola, peripatetica e mignotta, sgualdrina mondana e bagascia, meretrice e prostituta battona.

sabato 13 novembre 2010

Il Diacono

Se per caso doveste per forza passare, durante una lugubre notte tempestosa, davanti alla caserma del diacono, noterete certamente le finestre spezzate e le porte frantumate, udirete innegabilmente urla fuoriuscire dal camino e bestemmie venir fuori dal terreno. E se vi approssimerete senza paura alla caserma, verrete indubbiamente masturbati dai tifoni e dai turbini che assediano i recinti dello stabile. E se, nonostante tutto, vorrete entrare a salutare il diacono, esso vi accoglierà e vi racconterà l’imperscrutabile arcana fine del fico, bruciato in un istante da Gesù, poiché i suoi frutti non erano maturi, bensì ripieni di escrementi, materia fecale e deiezioni e feci e sterco, indigeribili anche per l’ineffabile soprannaturale stomaco del celestiale profeta divino.

sabato 6 novembre 2010

Oreste Diarrea

Oreste Diarrea non poté non imbarazzarsi di fronte al confessionale che gli s’ergeva di fronte, non avrebbe mai detto i suoi peccati a nessuno, eppure il pretino gaio voleva sapere!
Domandò e ridomandò incredulo che Oreste non avesse commesso gran ché nella sua flemmatica esistenza da storpio e da grassone qual’era, non volle credere alla totale assenza di onanismo, né all’incondizionata deficienza di qual si voglia vituperio nei confronti della chiesa, né alla carenza di bestialità, barbarie o atrocità. Eppure Oreste Diarrea negò ogni cosa e si disse gran santone, intangibile e soprannaturale. Il buon prete commosso pianse lacrime cocenti quando seppe che l’unico peccato commesso dal bravo integerrimo e celestiale fu solamente quello di aver sputato nella terra consacrata e di aver, a sproposito, spropositato nei confronti della sua madre carissima.
Eppure al prete, abituato ad origliare i peccati, non andò giù e tentò in ogni modo, si adoperò, si avvalse d’innumerevoli trucchi preteschi ma non udì altro che lodi alla madonna e glorificazioni ai santi. Giunto allo sconforto il prete bestemmiò, e la bestemmia risvegliò in qualche modo Oreste che in men che non si dica sovvertì le sue maniere e divenne bestia. Urlò finché non gli si squarciarono le tonsille, lanciò pugni e calci finché mani e piedi non si disgiunsero, defecò e urinò fino a che non gli s’implose il corpo, picchiò il cranio finché esso non si aprì e il cervello non si frantumò ricoprendo il prete di materia grigia.
Nonostante Oreste fu celebrato al tempo per la sua crudeltà, dissolutezza, depravazione e per il vizio di uccidere cristiani e religiosi di ogni fede e professione, fu fatto santo. Oggi, quel che resta del suo corpo riposa consacrato nell’immensa cattedrale e le visite e le preghiere lo ergono, nell’immaginario collettivo, al pari dei perfetti, più giusti dei beati, ed egli, sogghignando, se ne andò felice per la sua strada.

mercoledì 3 novembre 2010

Carlo e il suo amore

Carlo Testicolo non aveva alcuna voglia d’innamorarsi della suora che lo vestiva e lo custodiva durante la sua spietata infanzia d’orfano che gli capitò, ma nonostante i suoi sforzi e le sue pene non poté farne a meno e quando la suora, in un momento di distrazione, si voltò, egli le disse quello che congetturava e mentre proferiva i verbi amorosi sprigionava dal deretano una pestilenziale flatulenza che gremì la stanza. Il fiato mancò alla religiosa ed egli la vide assopirsi al suolo, e mentre s’accasciava perdendo i sensi sentì accrescere un diabolico sorriso sul suo volto.
Le prese il viso e lo baciò, le baciò le mani e il collo e laddove lo sguardo non poteva penetrare le vesti sacre egli la bastonò con la più dura ferocia e brutalità. La furiosa crudeltà si abbatteva solamente sulle parti ricoperte dagl’ indumenti, tutto il resto lo ricoprì di rose e di profumi, di blandizie e amorevolezze. Il velo ben presto s’intrise di sangue rappreso ma a Carlo non importava, il vestito sporco non era d’intralcio alle sue effusioni e affettuosità. Così la amò per tutta la notte e per i giorni a venire finché il fetore imposto dalla putrefazione non esortò Carlo alla ricerca di un nuovo amore, così se ne andò felice per la sua strada.

giovedì 14 ottobre 2010

La messa di Natale

Quando Franco Imbuto rovinò addosso al prete durante la messa di natale, tutta la gente la prese a ridere, e per scherzo, da quel dì, ogni messa di natale si afferrava Franco Imbuto e lo si scaraventava contro il prete durante l’omelia. Franco non era poi tanto contento del fatto di essere divenuto un oggetto e di poter essere scaraventato da chicchessia, ma quando poi si accorgeva di essere destinato ad abbattere preti e a devastare la messa si diceva tra se “Oscuro è il motivo per cui, idiota come me, dipendo dal mondo e poco o nulla lo determino, eppure il farmi sasso o ariete e distruggere chi il mondo lo comanda e chi, serioso, ripete le illusioni vecchie e sentenzia il bene e il male, questo è sì un gran conforto ed ora che mi rovescio addosso al prete gli farò un gran male”.
Così dicendo chiudeva pugni e stringeva le membra, si faceva marmoreo e abbassando la testa e alzando le ginocchia e urlando, sventrava il sacerdote gioendo come un infante.

domenica 12 settembre 2010

Il paradiso

Dopo anni di tentativi, prove e riprove, ginnastiche ed esercizi, moti e movimenti, allenamenti e addestramenti, chinando il capo e per l’ennesima volta sfiorando il pavimento mi accorsi di essere piombato in paradiso. Proprio in quell’occulto paradiso sognato e desiderato da tutta l’umanità. Sprofondai in mezzo ai santi e ai beati e agli angeli, tutti intenti nel guardare l’ultraterrena, l’illustre e gloriosa luce divina. Il silenzio e la pace erano terribili, la quiete e l’oblio echeggiavano da ogni anima estasiata e paga dell’allucinante visione trascendentale.
Non sapendo però che farmene di tutta quella luce e nauseandomi guardai il mio soprannaturale orologio anale e scoprii che il livello di tedio aveva ormai raggiunto il sommo grado e l’apogeo così escogitai una trovata che mi normalizzo i valori vitali. Infatti, dopo aver eseguito numerosi esercizi di allungamento, stretching e contrazioni muscolari, prolungai l’asta fallica del mio nobile corpo facendola fuoriuscire dai pantaloni, l’afferrai con vigore e la vibrai in aria accumulando potenza e solo dopo esser certo di creare gravi lesioni, frustai il palo della luce divina facendola momentaneamente spegnere.
Ci furono attimi di panico, ogni anima si risvegliò e non sapendo più che fare mirava con occhi spalancati la mia asta, ed ancor prima di rendersi conto e dunque realizzare il mio operato vidi un immenso strofinare d’occhi e nessuno rimase a sedere dove stava, ognuno si alzava e si stirava le membra, sbadigliava e andava via, vi fu una gran fila al gabinetto paradisiaco, qualche facinoroso incominciò a calciare i cancelli urlando a San Pietro che non gliel’avrebbe fatta passare liscia, ma non appena i cancelli furono aperti ogni anima scivolò via con l’intenzione di non ritornare mai più.
Qualche attimo dopo però, la luce celestiale si riaccese, qualche nuovo venuto si rimise a sedere nei posti lasciati liberi e pian piano si andava riempiendo ogni spazio, nessuno protestò per l’accaduto e tutto stava tornando alle vecchie abitudini, così, esasperato, vomitai e defecai in un melone, feci congelare il tutto in un frigorifero celestiale e con la mia brutale e feroce fionda poderosa scaraventai la mia bomba biologica contro la luce, il paradiso si fece cupo e svanì ogni cosa con la stessa celerità di come era stata creata, mai più chinai il capo e me ne andai felice per la mia strada.

martedì 20 luglio 2010

Le Formiche

Infischiandomene dell’improvviso temporale rimasi all’esterno della chiesa madido di fango e di pioggia fanghesca, inetto al riparo e maldestro e sciocco decisi di urinare per farmi balenare qualche idea nel cranio.
Spremendo la mia diligente uretra feci schizzare l’odoroso fluido fuori di me e lo diressi diligentemente contro un pilastro della incommensurabile realizzazione che mi si ergeva di fronte. Molte volte, transitando nei sobborghi di questa meravigliosa cattedrale, vagheggiai elucubrazioni demolitrici, fantasticai tremendi sismi o spaventose trombe d’aria od orribili eruzioni vulcaniche od agghiaccianti devastazioni nemiche. Eppure ogni tentativo si risolveva nell’impossibile disfacimento dell’opera.
Mai mi sarei aspettato ciò che accadde: infatti l’escrezione del mio possente rene si scaraventò contro il pilastro della chiesa, scivolò sul terreno sottostante che naturalmente lo assorbì, la pioggia che cadeva abbondante era però spaventosamente susseguente ad una terribile combustione che aveva annientato la mia casa (e con essa la mia micidiale collezione di feci), la pioggia era dunque una terribile pioggia acida che, mescolatasi all’acido urico, ippurico, solforico, fosforico nonché cloridrico della mia urina, divenne deleterio per la colonia di formiche che dimorava proprio sotto la chiesa. Morirono tutte le operaie e il formicaio divenne un inopinato cimitero carico di cibo appartato per l’inverno. Il caso volle che il cibo delle formiche - trovato sulle rocce, nell’acqua e in certi organismi viventi - era stracolmo di uranio arricchito. Non appena le formiche operaie morirono, le formiche volanti raggrupparono tutto il cibo in un’unica stanza del formicaio, l’uranio arricchito si approssimò causando una micidiale reazione atomica che annientò ogni cosa nell’arco di mille miglia. Della solenne e maestosa chiesa non ne rimase nemmeno il ricordo! Sbigottito e meravigliato me ne andai felice per la mia strada.