sabato 27 giugno 2009

L'osteria



Parecchi anni or sono a San Giovanni Rodondo ad un certo Marino Peto venne in mente di aprire un'osteria. Comperò un localino non troppo distante dal centro città, con un grande parcheggio davanti e delle ampie vetrate chiare che lo rendevano luminoso di giorno e splendente di notte. Fece portare un pesante bancone ricurvo e lo fece sistemare proprio in mezzo al locale, cosicchè tutta la vita sarebbe prillata attorno al centro, e le sedie arcuate e i tavolini ovali realizzavano le idee circolari del proprietario e completavano i propositi di chi aveva battezzato la città. All'inaugurazione venne tanta gente perbene, non aristocratica, ma piccolo borghese, non ci fu troppo chiasso e alla chiusura tutti si lusingarono di tornarvi il più presto. Ogni sera che passava veniva sempre nuova gente, e trascorse solo un mese che l'osteria fu sempre al completo. Il carattere tranquillo del proprietario metteva la gente a suo agio e tutto splendeva magnificamente fino a che un giorno irruppe un frate. Padre Pio andò al bancone ed ordinò un crodino, ma appena ne ebbe bevuto un sorso Marino Peto notò che le stigmate del monaco avevano impregnato il bicchiere di sangue, se ne sentì tremendamente offeso, l'odiò e bestemmiò più e più volte, ma il frate rispose che quelle ferite erano quelle di cristo e che comunque non se ne sarebbe andato prima di aver bevuto il suo crodino, e così facendo si appoggiò sul bancone che rimase macchiato di sangue. Marino Peto divenne rosso in viso, sbiancò e divenne blu, ingiallì e si fece nero di rabbia, prese in mano una sedia arcuata e la distrusse sulla schiena di Padre Pio, il quale, pure lui imbestialito salì in piedi su un tavolino ricurvo e defecò senza alcun riguardo ai clienti che guardarono sbigottiti la scena. Così Marino rincorse il frate con in mano una mannaia per tutto il locale, cercando di colpirlo, e ad ogni colpo non riuscito feriva i clienti che stranamente rimanevano seduti senza muover ciglio, incominciò a lanciargli bottiglie, ma l'agilità del frate era notevole, così le bottiglie fracassavano i crani della gente. Padre Pio si tolse la sottana fratesca e urinò per terra, Marino, con in mano una spada, tentò di evirarlo ma scivolò e tagliò la testa ad un frequentatore affezionato che tentava di ordinare una cedrata. Il frate, correndo, lanciava conati di vomito, Marino, correndo, lanciava pugnali che trafissero a morte tutti i clienti rimasti in vita. Si andò avanti così per tutta la notte e per i giorni successivi ed oggi ogni persona che passa per San Giovanni Rotondo non può fare a meno di bere qualcosa all'osteria rotondeggiante di Marino Peto, con le sue sedie arcuate, i suoi tavolini ovali e il mezzo busto impagliato di Padre Pio che, all'entrata, sorride affabile invitando tutti ad entrare.

giovedì 25 giugno 2009

L'accattone

Galoppando per la via Emilia m’imbattei in un maledetto mendicante. Vestito come un pezzente, maleodorante, balbuziente e credente. Esso mi disse di essere stato di famiglia perbene, quasi ricco, e dopo aver ereditato ogni cosa la regalò ai poveri che incrociavano il suo cammino e così, in poco tempo, gli rimasero solamente degli stracci addosso e dei sandali nauseabondi. L’amore per il prossimo era stato il suo unico proposito e ora chiedeva unicamente qualche cosa da mangiare per continuare a vivere, era certo, mi confidò, che tutto il bene che aveva fatto gli sarebbe ritornato, e Gesù Cristo non l’avrebbe mai abbandonato. Rimasi perplesso un istante, mi guardai attorno e lo colpii con un potente fendente alla mandibola, il mendicante cadde a terra in lacrime e rialzandosi pregò il suo Dio che il dolore svanisca in fretta, colsi l’occasione per screditare le sue fantasie e lo trafissi con uno stecco proprio in mezzo al corpo, avendo cura, è chiaro, di non danneggiare organi vitali. Lo percossi a lungo, lo bastonai per ore, lo ferii, lo ustionai, gli strappai via i denti e facendo ciò lo ricoprii di diaboliche bestemmie, che pareva facessero soffrire il mendicante più delle percosse. Appena ebbi terminato la mia predica, l’accattone, con un filo di voce, mi chiese il motivo di tanta gratuita violenza, in risposta me ne andai felice per la mia strada sfigurandolo con un calcio ben assestato diritto negli occhi.

martedì 23 giugno 2009

La tana

Contemplando il quadro del defunto pontefice in fondo al magazzino di Dido Porcolò notai l'improbabile dimora di un gatto sodomita. Esso infatti decise un giorno di recidere con astuzia e arguzia la tela del quadro, grattò a più non posso il muro fino ad incunearvi il suo confortevole alloggio. Il quadro del papa gli faceva così da porta, e la sua tana divenne accogliente. Il gatto sodomita era un gatto particolarmente intelligente, così, per difendersi dall'autunno imminente, stabilì di intonacare le pareti del suo rifugio. Il felino, furbo come un diavolo, evidentemente conosceva i segreti della vita, e scelse di intonacare con le feci, ma più l'inverno si avvicinava, più il freddo pungente faceva tremare il gatto che a sua volta nuovamente defecava e intonacava la sua casa. L'intonacò per mesi e mesi fino a che le feci uccisero il gatto soffocandolo. Finito l'inverno le temperature andarono alzandosi e giunta l'estate le pareti della casa si sciolsero. Dido Porcolò passeggiava per il suo magazzino in una mattinata di agosto, alzò gli occhi alla parete e credette ad un miracolo quando vide l'effigie di Carol Voitila che aveva cagato lungo il muro.

venerdì 19 giugno 2009

L'agguato



Arrugginita che fu la mia corazza impiegai settimane ad incontrare un furbo che me la lavò e me la sistemò, ma una volta che fu lavata e sistemata fui pronto all’azione. Attesi ore ed ore all’angolo del teatro, dove la vista della piazza allarga il cuore a chi striscia intorno ai vicoli della città vecchia. Ed io, teso come la corda di un impiccato e piegato sulle gambe indugiavo nel più assoluto silenzio e nella più accorta concentrazione. Ad un tratto la vidi, eccola, la mia preda, si avvicinava, l’attendevo e stavo per incontrarla, ero pronto all’azione e la poveretta forse non s’immaginava che gli sarebbe accaduto, e continuava ad avvicinarsi a me. Quando mi fu a due passi alzai il capo e scattai con più potenza possibile verso di lei che appena mi vide rimase immobile, congelata nel panico, abbassai la testa e l'incornai diretta nello stomaco disarcionandola dalle sue scarpe nere e sfracellandola proprio in mezzo alla piazza. Me ne andai soddisfatto per la mia strada con indosso il suo copricapo suoresco.

giovedì 18 giugno 2009

Il Tatuaggio

Decisi di comperarmi un gatto, andai dal gattivendolo e scartabellando gli animali ammassati in un immenso bidone imprecai contro il suo Dio, qualunque esso sia. Il brav’uomo, vedendomi curiosamente instabile e nervoso, mi sorrise e m’invitò nella stanza attigua a conversare su importanti questioni filosofiche.
Impiegai 43 ore ad espletare noiose spiegazioni affannose su come la credenza nella bibbia annebbia e l’inutilità di un Dio com’è in essa descritto non è utile a nessuno, tantodimenoche ad uno come me che vuol comperare un gatto.
Il gattivendolo sorrise di nuovo e disse che anche i gatti sono protetti da Dio e che Dio è buono e bravo e se facciamo del male ai gatti Dio si arrabbia molto perché se si è cattivi allora Dio s’incazza e poi sono cazzi di chi ha fatto incazzare Dio.
Gli sorrisi a mia volta e tornai a casa solo dopo essermi tatuato un gatto crocefisso sul deretano.